18/02/2024 – L’anello si svolge nelle Prealpi carniche, a nord di Travesio, e prevede il raggiungimento della cima del monte Ciaurlec. L’escursione si svolge sul versante sud ed est del monte Ciaurlec; il versante est fino agli anni ’90 veniva utilizzata dall’esercito italiano come poligono di tiro. Per approfondire la storia di questo territorio ho inserito in fondo all’articolo alcune notizie, scritte da Moreno Baccichet. Si può anche vedere il documentario di Stefano Morandini.
Punto di partenza dell’escursione è il parcheggio nei pressi del punto di partenza del sentiero CAI 850a e della strada che permette di raggiungere il cimitero di Praforte e la chiesa di San Vincenzo. Il punto di partenza si può raggiungere in auto da Travesio seguendo le indicazioni per l’agriturismo “Le genziane”. Dal parcheggio si seguono le tabelle del sentiero CAI 850a per S.S. Trinità e casera Davass; il sentiero rasenta la vetta del Sucul Taront (che saliremo al ritorno) e raggiunge la chiesetta di S.S. Trinità. Si prosegue seguendo il sentiero CAI 850a che sale con pendenza moderata, traversa poco sotto il Col Manzon e si raggiunge il bivio con il sentiero CAI 850 (circa 1 ora dalla partenza, escluse soste). Si prosegue a destra per il sentiero CAI 850 verso malga Sinich e monte Ciaurlec. Il sentiero prosegue in direzione nord e dopo circa 30 minuti si nota sulla destra una traccia nei pressi dei ruderi di casera De Zorzi (non visibili). All’inizio la traccia non è tanto battuta ma dopo pochi minuti ci si immette su un sentiero bollato di rosso; procedendo verso est dopo pochi minuti si raggiunge la foiba detta “Fous di Balancete”. Si rientra seguendo i bolli rossi e ci si immette sul sentiero CAI 850 un centinaio di metri più a nord rispetto al punto in cui lo abbiamo lasciato. Nel punto in cui il sentiero bollato si immette sul sentiero CAI 850 è presente la scritta “Foiba” in rosso su un sasso; pertanto per evitare il primo tratto un po’ incerto si può proseguire fino a questo punto e seguire il sentiero bollato. Si prosegue verso nord e in circa 30 minuti dalla foiba si raggiunge la casera Sinich. Si prosegue sul sentiero CAI 850, si passa nei pressi della casera Tamer, ai due bivi successivi si va a sinistra e poi a destra seguendo le tabelle CAI per il monte Ciaurlec. In circa 1 ora da casera Sinich si raggiunge la cima del monte Ciaurlec. La cima non è panoramica mentre si può godere di un parziale panorama da un cimotto erboso posto a nord-est rispetto alla cima principale. Il cimotto si raggiunge scendendo lungo il sentiero e nel punto in cui si rientra sul sentiero CAI 850 si risale il pendio erboso che si trova difronte. Per il rientro si scende con il sentiero CAI 850 verso sud con destinazione casera Davass. Poco prima di giungere alla casera, dopo essere risaliti di quota di 30 metri, si può deviare a destra per raggiungere la cima del monte Davanti. Dalla cima si prosegue verso est, fino a giungere a casera Davass. Dalla casera con il sentiero CAI 850a si rientra al punto di partenza, passando per la chiesetta di SS. Trinità, dietro la quale una traccia consente di salire al Sucul Taront.
Informazioni sulla foiba e sul paese di Praforte si possono trovare al seguente link del sito CuratiConStile.
Carta Tabacco 028, Segnavia CAI 850 e 850a, Dislivello 860,
Lunghezza km 14,3, Tempo indicativo 5h (escluse soste), Difficoltà E, Altitudine min 455m, Altitudine max 1155m.
Vedi la traccia GPS su OutdoorActive
Scarica la traccia in formato GPX
Vedi anche: Anello del monte Ciaurlec e del monte Valinis da Sottomonte
Anello del monte Davanti da Praforte

Da post sulla pagina Facebook di Moreno Baccichet:
“Prima escursione sulle pendici del Monte Ciaurlec per cercare di identificare i migliori percorsi che possano spiegare come su questa montagna si sia svolta una importante vicenda della Guerra Fredda. I comuni di Castelnovo del Friuli e di Travesio fino alla metà degli anni ’60 potevano contare su un enorme ambito di praterie e boschi posto sull’arido versante del Ciaurlec. Una proprietà comunale e collettiva che integrava le risorse delle singole famiglie. Alla metà degli anni ’60 la difesa espropriò diverse migliaia di ettari di terre pubbliche e private (erano presenti dal medioevo alcune stalle) per destinare tutto questo enorme versante del monte alla realizzazione di un poligono di tiro per l’artiglieria pesante. I soldati si posizionavano sul Tagliamento vicino a Valeriano e poi sparavano sul poligono seguendo le indicazioni fornite dagli osservatori che si trovavano sul Ciaurlec. Per vedere meglio le esplosioni fu costruito l’Osservatorio Tigre e una stazione radio. I proiettili superavano i paesi di Pinzano, Valeriano e le borgate di Castelnovo per poi precipitare il più vicino possibile ai bersagli. C’era però il rischio di sbagliare qualche tiro e la vicina borgata di Praforte fu evacuata per paura che qualche errore potesse provocare vittime e danni alle proprietà dei privati. Le famiglie di Praforte furono allontanate con la scusa di un dissesto geologico che non si è mai palesato negli ultimi 50 anni. Gli abitanti furono trasferiti sul piano dove a fianco dei borghi esistenti furono costruite delle nuove case a spese dello Stato. Il paese divenne un paese fantasma e l’attività del poligono proseguì fino all’inizio degli anni ’90. I militari costruirono un sistema di strade sterrate che permettevano di raggiungere gli ordigni inesplosi e verificare i tiri. Oggi questo patrimonio è in fase di cessione ai comuni anche senza aver completato la bonifica del sito. Si tratta ora di riscoprire il senso di questi luoghi e di farli conoscere. Non a caso le pratiche dei giochi di guerra hanno conservato importanti brani di prateria che oggi sono riconosciuti come un Sito di Interesse Comunitario e quindi di valore europeo. Gli incendi causati dalle esplosioni hanno impedito la progressiva espansione del bosco conservando un paleopaesaggio. Ora il problema è come togliere dalla dismemoria, da un limbo di amnesia sociale, questi territori sconosciuti ai più. Come trasformare queste macerie in rovine raccontando un storia recente e sopita. Quella di una guerra giocata sui tavoli di uno scacchiere internazionale passando sulla testa delle comunità locali. Questo enorme spazio abbandonato, oggi privo di destinazione, che significato può assumere in un futuro anche prossimo? Che pratiche d’uso bisogna attivare per sconfiggere un tabù territoriale che descrive questi luoghi come se fossero lontani? Come fare a chiedere la completa bonifica del sito e azioni per la conservazione di un paesaggio unico? Sono domande che ci si deve porre e azioni che si devono progettare anche attraverso esplorazioni “politiche” come quella che abbiamo fatto ieri con una manciata di storici amici”.
Il territorio “è ancora demanio della Difesa, ma è transitabile ad esclusione della zona che deve ancora essere bonificata e che si trova per lo più in comune di Travesio. Al momento c’è un tratto del percorso con un segnavia CAI, mentre dentro nel poligono di tiro si possono seguire le strade militari segnate nella Tabacco o nella CTR. Solo alcune si stanno riempiendo di vegetazione. I cacciatori lo frequentano parecchio, mentre gli escursionisti si concentrano lungo la strada panoramica del bordo. Lungo la forra (del Cosa) che è impressionante e bellissima dall’alto c’è una traccia di sentiero presente nella carta dell’IGM del 1910 ma poi sparita dalle carte seguenti. In realtà seguendola si arriva sulla Clauzzetto-Campone tra la ex cava e le grotte verdi passando sulla destra idrografica di Rio Secco. Uno dei sentieri più belli della pedemontana.”.

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